Le tensioni geopolitiche che hanno spaventato i mercati per una settimana si sono finalmente allentate – almeno per il momento. Donald Trump ha dichiarato che si prenderà due settimane di tempo per riflettere prima di decidere sul sostegno militare a Israele contro l'Iran. Questo è bastato agli investitori per tirare un respiro di sollievo: il dollaro ha perso parte dell'impulso difensivo, i futures sono aumentati, il petrolio si è corretto. Cosa significa tutto ciò per i mercati globali? Cerchiamo di capire
Nel corso della settimana il dollaro ha mostrato la crescita più evidente da più di un mese: l'indice DXY, che riflette la sua dinamica rispetto a sei valute chiave, è aumentato di circa lo 0,5%.
Il principale fattore trainante di questo movimento è stato l'aumento dei rischi geopolitici sullo sfondo dell'escalation del conflitto tra Israele e Iran, così come il continuo umore da falco della Fed, evidenziato dai recenti commenti di Jerome Powell.
Nei fatti, il dollaro è diventato un "rifugio" temporaneo, con i mercati azionari che hanno digerito le conseguenze degli attacchi aerei israeliani sugli impianti nucleari iraniani e i timori del possibile coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto militare.
Un ulteriore fattore a favore del dollaro è stata la posizione della Fed, che pur mantenendo le previsioni per un doppio taglio dei tassi quest'anno, si è comunque concentrata sui rischi inflazionistici.
Powell ha fatto capire che il mercato non dovrebbe aspettarsi un rapido allentamento della politica, e le sue parole sono state percepite come un segnale del fatto che gli alti tassi di interesse potrebbero essere mantenuti più a lungo del previsto. Ciò ha rafforzato la posizione del dollaro, garantendogli il sostegno delle aspettative sui tassi.
Tuttavia, venerdì mattina, la valuta statunitense si è mossa in direzione di un deciso calo. La coppia USD/JPY è calata dello 0,17% passando a 145,23, agevolata sia dai segnali geopolitici che dalle statistiche locali sull'inflazione del Giappone, che hanno aumentato le aspettative di un possibile inasprimento della politica della Banca del Giappone.
Il declino mattutino del dollaro è stato inoltre favorito dalle dichiarazioni della Casa Bianca secondo cui Trump nell'immediato non prenderà alcuna decisione sull'Iran, per pendersi invece due settimane per riflettere.
La notizia ha avuto un effetto calmante sui mercati, con gli investitori che considerano improbabile uno scenario di imminente intervento militare americano. In assenza di nuovi missili e nel contesto di una pausa temporanea nel confronto, la domanda del dollaro come bene rifugio si è indebolita.
Nel frattempo, il greggio Brent è sceso di circa il 2%, mentre le valute del blocco delle materie prime – il dollaro australiano e neozelandese – si sono leggermente rafforzate, segnalando uno spostamento delle aspettative di mercato verso una domanda moderata di rischio.
L'euro è salito nell'intervallo 1,1510-1,1530, aggiungendo circa lo 0,3% al giorno, mentre la sterlina britannica si è rafforzata a 1,3499 dollari, aggiungendo anch'essa circa lo 0,3%. Tali dinamiche indicano un parziale ritorno di interesse verso gli asset rischiosi dopo una pausa dovuta all'escalation geopolitica.
In tal modo, la crescita settimanale del dollaro si è rivelata duplice: inizialmente era sostenuta dalle dichiarazioni della Fed e dalle tensioni geopolitiche, ma verso la fine della settimana lo slancio si è indebolito – non a causa della de-escalation, ma a causa del rinvio delle decisioni.
La promessa di Trump di riflettere per due settimane ha fornito ai mercati una breve tregua, riformulando le aspettative: gli investitori scommettono che il peggio potrebbe essere stato rimandato. Ma la realtà è molto più complicata.
L'annuncio di Trump in merito alla decisione su possibili interventi contro l'Iran entro due settimane si è rivelato un evento chiave per i mercati globali.
La formulazione è stata rilasciata dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, che ha fatto chiarezza: il presidente sta valutando sia le misure militari che lo scenario diplomatico, e non esclude i negoziati.
La Leavitt ha inoltre sottolineato che l'obiettivo dell'amministrazione rimane lo stesso, ovvero scoraggiare il programma nucleare iraniano, ma se vi saranno opportunità di risoluzione diplomatica, Trump sarà "sempre pronto a coglierle".
I mercati hanno accolto queste parole come un segnale di riduzione della probabilità di un intervento immediato degli Stati Uniti. Agli investitori, affaticati dalla paura di una guerra su vasta scala, è parsa una tregua di speranza. I futures azionari USA sono passati a una crescita moderata e all'inizio della giornata anche gli indici asiatici vengono scambiati nella zona verde.
Tuttavia, questo ottimismo sembra prematuro. Sul fronte stesso, i combattimenti non fanno che intensificarsi. Israele continua a colpire il territorio dell'Iran, inclusi gli obiettivi legati alle sue infrastrutture nucleari.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele ha colpito più della metà dei lanciatori iraniani, con l'obiettivo dell'operazione militare che non era limitato all'indebolimento delle capacità nucleari e missilistiche iraniane, ma anche alla creazione delle condizioni per un possibile cambio di regime a Teheran.
Il tono ufficiale di Tel Aviv continua ad essere il più duro possibile. Rispondendo alla domanda sulla possibilità che Israele possa colpire i vertici dell'Iran, tra cui l'Ayatollah Ali Khamenei, Netanyahu ha detto: "Nessuno è al sicuro".
In parallelo, la tensione all'interno della regione sta crescendo: per la prima volta dall'inizio del conflitto un missile lanciato dall'Iran ha colpito un'istituzione civile israeliana, l'ospedale Soroka, provocando feriti.
L'incidente è un campanello d'allarme: la guerra esce sempre più dai confini delle infrastrutture militari, e minaccia anche i civili. Israele, a sua volta, ha preso di mira decine di impianti, tra cui un reattore nucleare ad Arak, non in uso ma potenzialmente pericoloso.
Secondo fonti al corrente della situazione, mentre la Casa Bianca rilascia dichiarazioni sulla possibilità di negoziati, diverse agenzie federali americane già si preparano ad eventuali attacchi.
Degli alti funzionari stanno discutendo gli scenari di intervento militare, e molti indicano il fine settimana come possibile finestra per un attacco. Queste conversazioni non sono ancora tradotte in decisioni, ma il fatto stesso che se ne discuta suggerisce che la pausa può essere breve e ingannevole.
I mercati hanno scommesso su una pausa pacifica, ma la realtà del campo di battaglia indica il contrario. La minaccia di un conflitto su vasta scala persiste, la retorica rimane bellicosa e il coinvolgimento degli Stati Uniti è solo una questione di tempo e di decisioni politiche.
In questo contesto, l'ottimismo del mercato non sembra tanto una reazione alla de-escalation quanto una temporanea attenuazione dell'ansia. E questo rende particolarmente vulnerabile l'attuale stabilità. Qualsiasi nuovo incidente, dura dichiarazione o cambiamento nella retorica della Casa Bianca potrebbe far riemergere in modo drastico la domanda di protezione.
E in tali circostanze il dollaro rimane il principale candidato per il ruolo di rifugio dall'instabilità geopolitica, anche se oggi si è leggermente ritirato.
Per i trader, l'attuale pausa nel conflitto non equivale solo a un periodo di instabilità, ma è anche un'opportunità di speculazione a breve termine sul dollaro. La valuta statunitense mantiene ancora lo status di bene rifugio ed è in grado di rafforzarsi localmente sui picchi di tensione, soprattutto in caso di nuovi segnali di possibile intervento militare statunitense.
A breve termine, la logica è semplice: dichiarazione forte, attacco, escalation – e il dollaro ottiene una spinta verso l'alto. In questo contesto, sono possibili posizioni puntuali long sul dollaro nei confronti di valute sensibili al rischio, soprattutto valute di materie prime. La strategia di "comprare paura" funziona ancora, soprattutto quando i mercati sono in standby.
Tuttavia, è importante ricordare che tale crescita può essere limitata e di breve durata. Strutturalmente, il dollaro rimane sotto pressione. Dall'inizio dell'anno, l'indice del dollaro è diminuito di circa il 9% a causa della diminuzione di fiducia nei suoi confronti. L'incertezza politica, l'aggressione tariffaria, le dichiarazioni incoerenti di Trump e l'evidente allontanamento degli Stati Uniti dal proprio ruolo nella politica estera minano lo status del dollaro come ancora globale.
Occorre tener presente che nel prossimo futuro il dollaro potrebbe effettivamente reagire alle notizie come bene rifugio. Ma sull'orizzonte di un trimestre o due, la tendenza rimane al ribasso: la volatilità della politica interna ed estera americana rende vulnerabile la valuta americana. E quando il rumore lascia spazio al silenzio, quanto più forte è Trump, tanto più debole è il dollaro.
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